La guerra che aveva mietuto vittime a centinaia di migliaia non potè, né volle essere dimenticata da chi l’aveva combattuta e da chi, pur da lontano, per essa aveva trepidato e ad essa dato comunque un proprio contributo. Per questo, già subito dopo la conclusione del conflitto, in ogni angolo d’Italia si fece quasi a gara per ricordare, con i segni tradizionali della memoria, i “mille” caduti i cui elenchi infittiscono tanti segnacoli marmorei. Tra il 1919 e gli Anni Venti si rincorsero innunumeri manifestazioni a conclusione delle quali si svelarono in pubbliche cerimonie monumenti, tempietti, edicole, semplici lapidi, iscrizioni, lampade votive; una varietà di forme che finì per costituire nelle città e nei paesi (ma anche nei cimiteri e nei luoghi sacri) l’aspetto più evidente – talvolta l’unico – della memoria civile di ciascuna comunità. Né è un caso che tale forma di ricordo si diffuse capillarmente: le lapidi che ne conservano i nomi, si eressero in tutto il paese perche tutti avessero memoria dei tanti italiani che vissero e subirono quei tragici lutti. A promuovere queste pubbliche memorie furono comuni, le associazioni degli ex-combattenti e dei mutilati, i sodalizi politici e culturali, anche se, dopo l’affermazione del fascismo, furono più direttamente le organizzazioni di regime a condurre un’opera di “impossessamento” delle memorie militari della prima guerra mondiale, quasi monopolizzando una rievocazione che apparteneva a tutti gli italiani. A Teramo un ruolo particolare lo ebbe una figura ragguardevole della tradizione civile cittadina, quel Luigi Savorini che come studioso, bibliotecario, insegnante di generazioni di teramani sentì il bisogno morale di raccogliere documenti, immagini, pensieri, dei tanti allievi che sui banchi di scuola “appresero (…) ad amare l’Italia”, come dettò nell’epigrafe scoperta il 20 giugno 1920 nel Liceo Ginnasio di Teramo a ricordo delle decine di liceali caduti sui campi di battaglia; un’epigrafe ancora oggi conservata e visibile nella Biblioteca Dèlfico. A Teramo, nei tanti comuni della vecchia provincia e nell’Abruzzo intero, Savorini pose la sua sensibilità di cittadino e di docente a servizio e a ricordo di quei giovani morti perché non fossero facilmente dimenticati. A lui dobbiamo se di quelle ombre e di quei nomi apparentemente lontani  conserviamo ancora quei tratti umani e morali che li fanno, a un secolo di distanza, a noi più vicini e contemporanei.